Leggere di montagna in montagna ha un sapore più intenso, è come espandere in 3D l’esperienza della lettura, compenetrare la storia fissata sulla carta. Così, per la prima “vacanzina” della stagione estiva sulle mie montagne (ormai chiamo famigliarmente così le cime della valle del Lys) mi sono portata un libro dal titolo molto evocativo: “L’inventario delle nuvole” di Franco Faggiani edito da Fazi. L’autore è un conoscitore e amante delle terre alte, già lo sapevo (tra gli altri suoi titoli voglio ricordare il bellissimo volume “Gente di montagna” edito da Mulatero), ma in questo romanzo ambientato in Valle Maira (Piemonte) la sua prosa tocca vette di lirismo puro. A essere sincera, passate le prime pagine da cui si evince questa sua maestria descrittiva dell’ambiente montano, ho affrontato un paio di capitoli che mi parevano avere un ritmo lento con la storia che faticava a emergere. Mi chiedevo dove mi stesse portando la lettura (è sempre così quando ci si immerge davvero in un libro: il lettore è in balia di ciò che legge pur potendo scegliere se e come continuare), non mi sentivo ancora “presa” e soprattutto non capivo quando ci si addentrasse sul serio nell’intreccio. Poi il momento è arrivato: ho afferrato il filo narrativo delle vicende del giovane Giacomo Cordero e il libro non mi ha più lasciato.
Un romanzo dai molti richiami storici, non solo sul panorama della Grande Guerra ma anche sulla vita nei paesini e nei valloni montani piemontesi a pochi passi (metaforicamente parlando) dalla Francia. Al centro vi è Prazzo, ma anche Elva e poi Cuneo con toccate e fughe a Enbrun, Torino e Aosta, per narrare di come all’epoca i commerci corressero su carri trainati da muli o cavalli lungo sentieri e strade impervie. La cosa più interessante, una vera scoperta per me, conoscere il mestiere e le abitudini dei “caviè”, coloro cioè che andavano di frazione in frazione e nelle “grange” (in lingua piemontese, baite con funzioni di magazzino) isolate per tagliare i capelli delle donne (“pels”) da rivendere in Francia per la realizzazione di parrucche. Faggiani ha reso tutto con grande realismo, utilizzando sapientemente anche il lessico per cui si parla ad esempio di “mietitura” riferendosi al taglio della chioma legata a treccia.
Ho camminato con il libro nello zaino per leggerlo nelle frazioni di Issime, specialmente su una panchina a Rickurt. Ogni tanto alzavo lo sguardo sul verde dei boschi davanti a me, osservavo lo spuntone del Pirubeck che si erge caparbio come lo spirito della gente che vive in alto, e sentivo riecheggiare la montagna. Mi sono lasciata travolgere dalle vicende dei Cordero, famiglia di commercianti intraprendenti e rispettati che ha saputo sfruttare le necessità dell’esercito per espandere gli affari. Al centro vi è Giacomo, che ha studiato a valle presso un sacerdote ma poi è tornato a casa per assecondare la volontà del nonno Girolamo, un tipo burbero che mette al primo posto il lavoro e che insegna al nipote il mestiere di “caviè”; lui che si chiede cosa desidera davvero fare nella propria vita. Sotto lo stesso tetto vi sono la saggia Desideria sposata da Girolamo in seconde nozze; la timorosa Lunetta, madre di Giacomo, che fatica a lasciar andare il ricordo del marito morto in miniera all’estero, e poi da Oltralpe arriva l’esuberante Natale Rebaudi che porta una ventata di allegria e riequilibra il gioco delle parti ricordando a ognuno il proprio compito. Il ritmo è dato dai viaggi e dal cammino su per i monti, le svolte dagli incontri, alcuni dei quali segnano e tornano.
Gente semplice e concreta, chi vive in montagna ribalta il punto di vista di chi vive in pianura. All’inizio di una camminata, dopo il centro di Gressoney Saint-Jean, un’anziana signora (volto dolce e una grande crocchia sulla testa) seduta su una panca davanti a una casa mi saluta e mi dice: “Va in montagna?”. Sono rimasta un secondo spiazzata pensando che ero già in montagna, poi ho capito: lei intendeva la montagna dove si fatica, dove si va in salita seguendo una stretta via rubata ai prati o alla roccia, che porta a orizzonti più alti, non i paesi e le cittadine con strade e vie comode. “Sì, vado su” le ho risposto. “Io abitavo ad Alpenzu, eravamo rimasti pochi abitanti, troppo pochi. Vedrà che bello là”. In questo momento (ma non solo in questo) ho sentito un po’ mio lo stupore che spesso abita il personaggio di Giacomo: come scrive Faggiani, “stupirsi è fare un piccolo volo oltre la realtà”. Anche io amo puntare lo sguardo verso il cielo e scoprire le nuvole piene di forme e mosse dal vento. Chiunque può fare il proprio personale inventario delle nuvole riuscendo così a proseguire il cammino con rinnovato vigore…